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Meditazione e management

Il tema della settimana appena trascorsa, affrontato su linkedin e facebook, è stato quello della MINDFULNESS.

Vorrei concludere questa breve disamina della parola chiave con la mia esperienza e di come ha trasformato la mia vita..


Per me, il termine mindfulness è arrivato molto più tardi del termine meditazione.


Incontrai la prima volta la meditazione a 17 anni, dentro ad un libro. Si trattava di un libro sulla sessualità taoista. Il tao dell’amore di Jolan Chang. La sessualità, un interesse adolescenziale, mi ha fatto scoprire un mondo più vasto. La meditazione taoista è stata il mio primo approccio al mondo della conoscenza di sé.

La gente mi conosce come una persona estroversa. L’estroversione è stata solo una reazione alla paura di essere escluso dalle amicizie. In realtà, ero un timido e un introverso. Oggi sono una persona bilanciata: estroversa che sa ritirarsi dentro di sé.

Questa introversione mi portava ad interrogarmi sul significato della vita, sul bene e sul male.

Iniziai ad interrogarmi sulle religioni orientali dopo essere stato un fervido cristiano. Cercavo una risposta al senso della vita. Ognuno lo cerca.

Io ero, però, un moralista. Come tutti i moralisti ero rigido. Un moralista cerca regole generali a cui attenersi. Ha poi la presunzione di ritenerle universali. Tali regole di comportamento “giusto” le ritiene valide per sé e utili per giudicare gli altri.

Si è tutti, bene o male, dei moralisti. Ogni individuo sviluppa la propria morale o la prende a prestito dal proprio gruppo di appartenenza.

Ci si dà queste regole per tenersi insieme, viste le mille spinte contraddittorie dell’animo umano.

La mia meditazione, a quei tempi, era quella di tentare di non far male agli altri e di essere un bravo ragazzo.


In fondo, non avevo capito niente. La meditazione è l’opposto di tentare di uniformarsi a regole esterne. È la ricerca della propria spontaneità perduta, a rischio di deludere gli altri intorno a te.


Il mio era un cristianesimo continuato con altri mezzi: le tecniche orientali.

Questi concetti iniziarono a popolare la mia testa e a farmi scervellare. Ho brancolato nel buio per tentare di capirci qualcosa per almeno un decennio:

  • Non-mente,
  • vuoto,
  • polarità esistenziali yin/yang,
  • la mente che non è lo spirito,
  • le connessioni mente-corpo,
  • eterno presente.

Intanto, avevo iniziato la pratica dello yoga. In occidente, ciò significa soprattutto praticare le asana o posture.

Le asana in realtà sono solo uno degli otto passi dello yoga.

Le pratiche corporee delle discipline orientali sono solo un passaggio necessario, ma non l’essenziale. Servono però a connetterti con il corpo. Ti portano rilassamento.

Tali pratiche orientali sono diverse dalle pratiche occidentali in questo.


Noi, in occidente, cerchiamo sempre la performance.


La nostra mente calcola, ad esempio: perdita di calorie, minore tempo di esecuzione degli esercizi, maggiore tono muscolare, etc. Ci mettiamo sempre un obiettivo, un desiderio di arrivare da qualche parte.


In realtà, mentre i muscoli si rafforzano, restiamo fondamentalmente tesi.


All’inizio, ho applicato allo yoga questa mentalità occidentale, senza accorgermene. È stata una storia un po’ frustrante non riuscire a ottenere certe posture: non avevo capito niente sul non sforzo!

Intanto, mi interrogavo sull’intera disciplina dello yoga. Ero arrivato alla conclusione che la meditazione fosse impossibile per un uomo normalmente inserito nella società. “È roba per monaci! È una roba impossibile per gente normale.” mi sono più volte detto.


Dopo anni di sperimentazione, incontro le meditazioni di Osho e il suo approccio. Per un amante della razionalità come me – mi sono definito un illuminista laico per anni – è stato un clic.



L’incontro è avvenuto con uno dei suoi libri: Meditazione, motivazione e management.


Osho non era più su questo pianeta dal 1990. Questo era un grande vantaggio per me.


Avevo sempre guardato con diffidenza ai guru e con una certa altezzosità intellettuale a chi seguiva una setta.


Ma Osho è speciale. Dice: “non seguirmi, prova! Non credere, sperimenta! Sei solo… non ci sono organizzazioni a proteggerti, né rituali da seguire. Solamente medita e scoprirai sempre di più te stesso. Non c’è una vita spirituale distinta dalla vita materiale di ogni giorno. Usa però la vita materiale e le sue sfide come un motivo per crescere e avere sempre più consapevolezza di ciò che sei tu. Non ti far travolgere dal mondo e dalle sue aspettative su di te.”


Le sue tecniche hanno rivoluzionato l’approccio classico alla meditazione.


Ho scoperto quante emozioni avevo represso. Ho contattato le rinunce a me stesso per paura. Ho visto quanta rabbia accumulata rispetto ad eventi della vita di 10, 15 anni prima. Era ancora là.

Con Osho trovi una dimensione spirituale che non ha niente a che vedere con l’idea di religione a cui siamo abituati.


Niente gerarchie o organizzazione religiosa. Niente rituali. Niente fede. Una religione senza ritiro dal mondo e senza rinunce. Una religione individuale, in cui esiste solo la tua interiorità e un solo precetto: osserva te stesso.


Non più buono o cattivo rispetto a delle regole esterne che il gruppo ha stabilito per te! Solo due stati: consapevole o inconsapevole.


Come fai a scoprirlo? Sei sempre pronto a pagare per la tua inconsapevolezza e non vuoi attribuire la colpa della tua infelicità ad altri.

È chiaro che la mia vita è cambiata radicalmente nel corso degli anni. Il mio modo di percepire la realtà e di contribuire ad essa.



Meditare è diventato facile e irrinunciabile.


Bastano pochi minuti al giorno con la meditazione del sorriso interiore, ad esempio. In alcuni giorni, pratico altre tecniche. La Osho Dynamic Meditation o altre tecniche sul respiro, sul movimento consapevole o sull’attenzione.

Tali tecniche non mi fanno un uomo migliore. Mi rendono solo più attento a ciò che mi sta attraversando.


Mi illuminano sui processi che non sono conclusi: le frasi non dette, i risentimenti non espressi, le ferite subite. Mi fanno vedere se ho ansia rispetto a dei progetti. Mi mettono in contatto con ciò che mi preoccupa e mi assilla. E mi permettono di lasciar andare la tensione e recuperare il benessere.

Mi mettono in contatto con la mia realtà interiore. Questo è importante per tre motivi: la mia salute psico-corporea, la qualità delle mie relazioni e la mia presenza nella vita.


Il rilascio di tensioni e un profondo rilassamento aiutano il corpo e la mente a riposarsi.

Vedo cosa è ancora aperto rispetto ai miei cari o ai miei collaboratori o alla gente intorno a me.

Comprendo ciò che mi ha mosso rispetto a loro e ciò che è in sospeso o irrisolto.

Ottengo intuizioni su come migliorare la comunicazione e la mia condivisione emotiva.

Ottengo una riduzione dello stress che deriva dalle relazioni e dal dare il giusto peso agli eventi.

La mia presenza alle cose che faccio è sempre più ampia. Non ho lavorii mentali sotterranei che mi distraggono. Non ho cerchi aperti che drenano inconsapevolmente le mie energie da ciò mi coinvolge nel momento.


Ho meno ansie del futuro: mi occupo invece del seme del futuro che è il presente e mi apro al futuro così come sarà.


Qual è un risultato del meditare? Rimanere freschi. È come fare una doccia ai propri pensieri ed emozioni. Ritempra lo spirito esattamente come una doccia porta via la stanchezza fisica o ripulisce il corpo.

Chiudi gli occhi e lasci che in questa sospensione di attività tu veda e senta meglio. Non devi fare niente se non fermarti. Così ti puoi accorgere di ciò che richiede veramente la tua attenzione e cura.


La pratica manageriale non è altro che un tipo particolare di pratica umana. Si utilizzano molto l’intelletto e l’energia per spingere se stessi e gli altri.



È un’attività usurante internamente. In questo la pratica meditativa può essere utile.

Un manager ha difficoltà a staccare la spina e gli sembra di essere sempre in ritardo. È la persona più di fretta che io conosca.

Il manager ha un gran bisogno di rilassarsi. Tale rilassamento può accadere con poco. Così come chiude i cerchi all’esterno, così li può chiudere all’interno. Il rilassamento non significa inattività. Significa assenza di sforzo inutile e presenza della sola tensione utile. Rilassato significa che sono attento nel momento e sono in contatto con ciò che accade dentro e fuori.

La mia attività ora consiste nel dare consulenze e far crescere le persone nella capacità di osservare e osservarsi. Sto facendo la cosa giusta e ci sono arrivato con la meditazi0ne e il contatto con me stesso.

Nel mio lavoro indico come dare la giusta tensione e attenzione alle cose. Insegno come rilassare la mente. Indico come modificare le relazioni per renderle più efficaci e meno impegnative.

Tento di trasmettere la mia esperienza dell’azione senza sforzo.

Non finirò mai di ringraziare quel libro che mi fece conoscere il Tao e da cui iniziò la mia storia con la meditazione.

Il viaggio continua…


Se vuoi fare esperienza di meditazione puoi andare sul canale youtube di no-effort management.


In questo editoriale abbiamo parlato di:

  • meditazione e tao
  • consapevolezza e inconsapevolezza
  • parola sistemica chiave della settimana: MINDFULNESS (trovi tutti gli approfondimenti sulla pagina no-effort management di Linkedin
  • rilassamento e management

©️Anurag Rocco Gaeta – no-effort management – 16 gennaio 2021

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